Centro studi Piero Gobetti

Rassegna stampa



La Stampa, 13-03-2004


Un'intervista inedita con Galante Garrone: i ricordi
e gli ultimi progetti del «mite giacobino»

«Gobetti un vulcano, io un fornello a Gas»

«Piero Gobetti era un vulcano. Io, al suo cospetto, un fornello a gas». All’insegna dell’«esagerôma nen», il subalpino senso della misura, si dispiega l’intervista inedita ad Alessandro Galante Garrone che ha introdotto ieri, a Torino, in via Fabro 6, il 44° anno del Centro Studi Gobetti. Con «il mite giacobino» sono stati ricordati Norberto Bobbio e Nuto Revelli, gli altri «maggiori» dell’Italia civile scomparsi nelle passate settimane.
È Andrea Gobetti, nipote di Piero, speleologo, a conversare con Galante Garrone. Sulla scia di un metodo (collezionare testimonianze) a lungo seguito dal padre Paolo e dalla madre Carla, sino a comporre quel Racconto interrotto dove si avvicendano gli amici del direttore di La Rivoluzione liberale, morto esule a Parigi, giovanissimo, nel 1926.
L’incontro nella casa torinese del professore (eppure così estraneo a ogni aura accademica), vicino a Porta Susa. Accanto a Sandro la moglie Miti, figlia di Riccardo Peretti Griva, fra i cardini della Giustizia piemontese, originario di Coassolo dove lo stesso Galante Garrone riposa.
È il 1999, Galante Garrone veleggia intorno ai novant’anni, essendo nato nel 1909 a Vercelli (la città eusebiana, auspice l’Università, ricorderà lui, il fratello Carlo, che «ereditò» lo studio legale di Dante Livio Bianco, la sorella Virginia, dantista e scrittrice, custode delle memorie familiari, il 17 marzo). Da tempo - quasi un vezzo - si definisce «un vivente abusivo», un’espressione mutuata da Carlo Dionisotti. Lo studioso di Pietro Bembo, piemontese spiemontesizzato a Londra, è fra le figure evocate nel colloquio: «Vorrei pubblicare le sue lettere, cosparse di giudizi sull’Italia di oggi, una, in particolare, è straziante». Non è l’unico lavoro che lo storico (e giurista) ha in mente per le stagioni che gli restano: «Vorrei raccontare i precursori italiani della Rivoluzione francese, in particolare scrivere la biografia di Filippo Buonarroti, discendente di Michelangelo, apostolo dell’uguaglianza».
Allievo, lo storico Galante Garrone, di Alfonso Omodeo, anzi: «discepolo spirituale», secondo Federico Chabod. Omodeo che nei Momenti della vita di guerra ha onorato gli zii Eugenio e Giuseppe Garrone caduti subito dopo Caporetto. Ad Andrea Gobetti confida: «Omodeo mi propose un saggio sulla stampa in Piemonte nell’età cavourriana. Mi dissuase dall’impresa il bombardamento nel novembre del 1942, la Biblioteca Nazionale andata in fumo».
Si era laureato nel 1931, Galante Garrone. «In luglio, come Norberto Bobbio. Bindi l’11, io il 12, già ci univa l’idem sentire antifascista. Non a caso intrapresi la carriera giudiziaria: non era richiesto il giuramento di fedeltà al regime». Gli scriverà Jemolo nel 1939 (ed era il 1939): «Ci dev’essere ancora un nucleo di vecchia magistratura piemontese, e la tradizione dev’essere sempre alta». Quelle toghe artefici e sentinelle di un raro equilibrio: fra legge e coscienza, fra i codici e Antigone...
Una bussola in primis, nella vita e nella professione: il Croce della Storia d’Europa, fondata sulla «religione della libertà». Spiega Galante Garrone all’interlocutore: «Essere crociani, per la mia generazione, significava essere antifascisti. Il nostro vangelo era La Critica. Da anni, accanto alla firma di Croce c’era quella di Omodeo: fu il fascismo a staccarlo da Gentile, a minarne l’attualismo...».
«Ho conosciuto pure la madre di Piero Gobetti», rammenta Galante Garrone a Andrea Gobetti. Non andando oltre. Ma la citazione di un «suo» ufficiale giudiziario, il valdostano Aldo Guerraz, conduce nell’abitazione di Angela Canuto (così si chiamava la donna). Fu proprio grazie a Guerraz, tra i militanti di «Giustizia e Libertà», che il «mite giacobino» vi giunse, recuperando l’ultima (una delle ultime) copie di La Rivoluzione liberale, il saggio sulla lotta politica in Italia che potrà quindi, dopo la guerra, venire riproposto.
Potrebbe mancare nella videocassetta la Resistenza? Cospirazioni, fughe, spie, gustosi equivoci...«Quando usciii di casa per un segreto rendez-vous... Mia madre, al ritorno, non nascose la preoccupazione che l’aveva assalita. Temeva che una fanciulla non esemplare m’avesse circuito...».

Bruno Quaranta




|rassegna stampa|