La Stampa, 26-08-2003
A Natalino Sapegno
San Bernardino di Trana (Torino) 16 agosto 1920
Mio caro Sapegno, io non sono troppo entusiasta dell’epistolografia anche se scrivo molte lettere a una infinità di persone; forse appunto per questo.
Poco distinguo generalmente nel mio scriver lettere, persone intime da persone indifferenti. Alle persone intime vanno spesso i pensieri, ma la mano quasi naturalmente, non so perché, è pigra. Forse temo di non esprimere abbastanza la mia intimità, e che la frettolosa brevità di una lettera alteri la pace serena con cui sono solito guardare la mia amicizia. Così non scrivo se non sono perfettamente tranquillo, in questo senso, di poter discorrere limpidamente e capire ed essere capito.
In questi giorni ho lavorato ancora tormentosamente. Mi viene spesso un bisogno senza freno di superare ostacoli difficili e cattivi in cui tutta la mia forza debba porsi in opera, tutto il mio ardore consumarsi senza fine. Sono i momenti in cui mi disprezzo ed ho bisogno di misurare ciò che so fare perché torni la serenità. Da molto tempo però non ho più dubbi o tormentosi contrasti sulle mie facoltà d’azione. E temo invece una certa soverchia facilità che sento in me e che voglio vincere - con duri lavori di traduzioni, di erudizione, di ricerche. Non mi preoccupa ciò che farò, non voglio abbandonarmi ai grandi sogni, non mi propongo punti d’arrivo. E invece mi tormento intorno all’umile lavoro che faccio, non mi sazio di umiltà. Non esigo da me la genialità ridicola, che c’è troppo, troppo sconvolgente in ognuno; ma un’onestà infinita, una scrupolosità che si tempri nelle piccole cose.
... Ho caro che tu legga, come mi dici, molto l’Alfieri. Io aspetto di tornare a Torino per rinsaldare le mie forze in quella sua forza che sempre mi fece bene da quando lo leggevo primamente a dodici anni nell’Autobiografia. Per ora mi accontento degli altri due poeti miei (e credo di tutti), di Dante e di Leopardi, ma di Leopardi ti confesso che torno ancora a rileggere con maggior fervore le Operette morali e tralascio invece molti moltissimi canti per ripetermi invece con gioia sempre più profonda: l’Infinito e le Ricordanze.
Credo anche che tu che ci riesci faccia molto bene a zappare e a camminare. Per me è impossibile tanto più quando penso che a novembre sarò soldato e per otto mesi non potrò più far nulla. Non sono stanco, di spirito; ma ho qualche preoccupazione per i miei occhi, che ogni tanto mi perseguitano con qualche scherzo e mi fanno fare più fatica a lavorare. Ma penso che quando li avrò abituati a non cedere mai, come sto facendo, rimarranno anche loro tranquilli.
Ti saluto affettuosamente e attendo una tua lunga lettera.
Piero Gobetti
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