Centro studi Piero Gobetti

Rassegna stampa



La Stampa, 26-08-2003


Liberale eretico,
«ridotto a far l'amore coi comunisti»

Non finisce di sorprendere, Piero Gobetti, «il prodigioso giovinetto» (l'etichetta è di Bobbio): quei suoi ventiquattro anni e otto mesi di vita (1901-1925) racchiudono un mondo di iniziative intellettuali e politiche; l'amore per una sua coetanea, Ada Prospero; una passione indomita per la libertà, ma anche per la rivoluzione. Già, perché a onta dei tentativi di annettere Gobetti a un liberalismo più o meno classico, egli fu politicamente anomalo, indisciplinato, eroicamente errante fra eresie, si potrebbe dire con uno scioglilingua non privo di aderenza al personaggio. Salvemini e Prezzolini, gli elitisti e Croce, Sorel e Gentile sono nel suo carniere di onnivoro cultore di idee. Eppure il suo grido più folgorante rimane la contrapposizione di Marx a Mazzini: eterogeneo tragitto, non privo di semplicismi storici, di ingenuità e di velleitarismi, ma gonfio di intuizioni geniali, quello gobettiano.

Il primo volume del suo Epistolario, giungendo fino al 1922, fornisce le tracce di un percorso umano, culturale e ideologico che vedono lo studente Piero passare dal liceo Gioberti alla severa esperienza universitaria (la prestigiosa Facoltà di Giurisprudenza dell'Ateneo torinese): Einaudi, Ruffini, Loria, Jannaccone, Mosca, Solari, con cui egli si laurea, con una tesi sull'amatissimo Alfieri, nel luglio di quel fatidico '22, che vede l'ascesa di Mussolini. Di lì comincia la coraggiosa e intransigente battaglia antifascista, di cui son strumenti il settimanale La Rivoluzione Liberale e la casa editrice; ma egli testimonia in ambedue un'apertura culturale agli avversari, se e quando sono in grado di porsi sul terreno intellettuale: un Malaparte, per esempio. In tal senso, Gobetti, sulla scia dei vociani, si pone su una strada di lavoro culturale che farà scuola.

Sono anche anni di apprendistato politico, per un giovane autodidatta in tante materie (la lingua russa, per esempio, ulteriore legame con Ada), curioso di tante discipline (dalla storia della letteratura a quella dell'arte, tanto da darci la prima monografia su Casorati). Gli anni della scoperta del socialismo, della fabbrica (il Lingotto gli apparirà come una visione straordinaria), del movimento operaio. Decisivo, per lui, fascinato dai bolscevichi vittoriosi, è l'incontro con Antonio Gramsci, il quale gli affida la critica teatrale - un genere in cui lo stesso Gramsci si è cimentato con una verve polemica analoga a quella del suo giovane collaboratore - sulle pagine dell'Ordine Nuovo, diventato quotidiano, nel gennaio del '21. Da allora Gobetti - quel Gobetti «ridotto a far l'amore coi comunisti» per la pochezza del liberalismo nostrano, secondo l'amaro giudizio di Einaudi sul Corriere della Sera - non è più un liberale, benché si ostini a dichiararsi tale. Che cosa sia, difficile dirlo. È da allora che ha inizio la storia piena della sua eresia, che si riassume tutta in quell'accostamento tra rivoluzione e liberalismo.

L'Epistolario offre una prova ulteriore, se ce ne fosse bisogno, delle capacità di quel ragazzo precocissimo di tessere trame, di creare imprese culturali e di progettarne altre, di dialogare a tu per tu con maestri che per età e rango, per ruolo e per cultura tanto gli erano superiori. Univoche sono le testimonianze di coloro che conosciutolo e rimastine soggiogati, ricevettero, dal suo sguardo sgombro di illuminista che credeva innanzi tutto nella dignità dell'intellettuale, un impulso decisivo per accompagnarlo nelle sue avventure. Da esse è nata tanta parte del miglior dibattito politico e culturale dell'Italia del Novecento.

Angelo D'Orsi




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